PROLOGO
Questa è lei.
Questa è la protagonista della nostra storia nell’unico fermo immagine che la mia memoria ricordi nitidamente.
Questa è la faccia vistosamente truccata, bellissima e provata di chi non dorme da giorni, ed in uno di quei giorni senza
notte, nel pieno della sua festa di compleanno decise che se ne sarebbe andata.
Vistosamente truccata come fa chi decide di portare in giro un personaggio oltre che una persona. Come chi pensa che
truccandosi rivela una parte di se invece di nascondersi.
Bellissima perché non avrei potuto affermare il contrario, ma provata.
Dalla mancanza di sonno, da quella degli altri e dalla mancanza di se stessa.
Insomma, dal vuoto mal riempito che portava dentro.
Non so molto su di lei, solo quello che mi ha raccontato, compreso il suo nome.
Disse di chiamarsi Vivian, come Vivian Leight.
Il lascito di una madre con un innato senso del dramma, e sarà forse stato per quel nome cinematografico che un po’ di
quel dramma alla nostra protagonista era rimasto attaccato.
La narrazione dei fatti sarà discontinua, perché io non c’ero, c’è solo il suo racconto.
E non so se è vero ma ci basti questo, ci basti che sia stato vero per lei.
Fidiamoci.
E apriamoci alle storie degli altri, perché hanno un gran potere.
Quello di parlarci di noi tramite le loro parole.
Quello di raccontarci di un noi che ancora non conosciamo.
Vivian, 28 anni, classe 1944
Attualmente fuggitiva, in attesa in una lavanderia a gettoni in uno strano giorno di Ottobre nel 1972.
ATTO 1
Facciamo un passo indietro.
Prima di capire cosa fece fuggire nel bel mezzo della sua chiassosa festa di compleanno Vivian, è necessario sapere
qualcosa di quest’algida ragazza dall’aria stanca.
Vivian era nata una mattina d’ottobre del 1944 e cresciuta in una famiglia medio borghese, unica figlia di due genitori
che erano rimasti insieme solo per rispetto.
Il rispetto nei confronti della figlia, s’intende.
La madre l’avrebbe voluta bionda ed emancipata, il padre avrebbe voluto una figlia colta e sposata.
Vivian pensò che per la cultura avrebbe avuto una vita, e pensò anche che l’emancipazione fosse un concetto non troppo
chiaro per lei.
Vivian voleva solo essere bella ed amata, e decise quindi di prendere quello che restava nel pacchetto dei suoi genitori.
Si sposò nell’estate del ’69, bellissima in un abito color panna ed i capelli biondi raccolti.
Lo fece con un ragazzo brillante e di buona famiglia, lo fece per amore o presunto tale.
E iniziò così la nuova Vivian, fatta di cene, aperitivi, tintoria, shopping, feste a sorpresa ed ancora nessun figlio.
Iniziò così la vita di una ragazza che una sera decise di fuggire, in barba ai pronostici di tutti e di non tornare più.
Perché se c’è una cosa che mi colpì fu la sua determinazione.
Quella certezza spavalda e rassegnata insieme, di chi non può essere convinta a cambiare idea.
Pensai una cosa guardandola.
Che noi tutti sappiamo già cosa sia meglio per noi e cosa ci porti il più vicino possibile alla letteraria felicità. E lo
sapeva pure Vivian.
Il vero problema è metterlo in pratica, è passare dalla potenza all’atto.
E’ capire che quel salto è un salto doloroso, coraggioso e spesso folle; che si deve compiere senza certezze ma con
speranza.
E quando c’è solo la speranza è tutto più difficile, anche se difficile non è sinonimo di impossibile.
E per ragioni ancora sconosciute, quella notte Vivian non era fuggita, ma aveva saltato.
Quella che per gli altri era stata fuga, per lei era un gesto di speranza verso se stessa e verso il mondo la fuori.
Atto 3
E quindi dopo il matrimonio era iniziata una nuova vita per Vivian, piatta come
una tavola.
Piatta e senza increspature come il mare che piaceva al marito Tommaso
quando uscivano in barca. Piatta come la seta degli abiti che aveva tutti in fila
nell’armadio nei toni del grigio perla, come piaceva a Tommaso.
Piatta, come la superficie vitrea dello specchio del bagno dove si era guardata
per l’ultima volta prima di andare via.
Tutto scorreva liscio, le cene a casa di amici a base di tante parole e poco cibo,
le gite fuori porta, i bracciali costosi, i cocktail nei bicchieri pesanti, e quelle
risatine.
Quelle risatine tutte rivolte alla solita vecchia storia:
-“Figli?”
Come se fosse una domanda da fare davanti ad una tartina.
Come se fosse una cosa di cui parlare con qualcuno che a mala pena si
conosce, come se fosse un argomento paragonabile all’acquisto di un oggetto.
Senza pensare che, se fossero stati sul serio amici, l’avrebbero saputo già il
perché e senza pensare che prima di questa domanda magari ci sarebbe stato
altro a cui interessarsi.
Ma Vivian era senza amici.
Già perché alla voce “amicizia” c’era una bella spunta sulla casella “non
pervenuta”.
Tante facce, tanti sorrisi, ma nessuno che le tendesse una mano quando
rimaneva chiusa in bagno senza fiato e con le gambe di cemento.
Quando ogni venerdì acconsentiva muta ai suoi doveri coniugali, e quando si
alzava nel cuore della notte con il cuore che le usciva dal petto nella sua casa
dorata all’ultimo piano.
Ma cos’era che non andava?
Niente all’apparenza e tutto in profondità.
Ma in questa vita da copertina non c’era mica spazio per la profondità. Solo per
la superficie, bellissima e patinata di una vita brillante che somigliava ad una
galera muta.
Tutto cambiò un giorno. Quel giorno di fine estate arrivò qualcuno, qualcuno di
molto diverso da quello che probabilmente state immaginando.
ATTO 4
Era una Domenica come le altre.
Da poco passate le nove di una fresca mattina di fine inverno.
Tommaso dormiva reduce dai suoi sabati bravi a pieni di sarcasmo, Martini e
quel passatempo da ricchi a base di polvere simile allo zucchero leggero che
però faceva diventare tutto pesante, soprattutto Tommaso.
Vivian si era svegliata presto, o meglio, Vivian non aveva dormito affatto.
Quella mattina c’era una luce calda che filtrava dalle grandi finestre
dell’enorme cucina e si soffermò un attimo a guardare sotto mentre si
preparava il caffè.
Guardare sotto era ormai un’azione ricorrente nella vita di questa ragazza
bionda e presuntamemte privilegiata.
Suono’ il campanello e scalza con indosso una camicia da notte avorio ed un
kimono a fiori andò ad aprire.
Il campanello era insistente, l’insistenza di qualcuno che sa di essere atteso,
nonostante Vivian non aspettasse nessuno.
Un attimo di esitazione, come se lo sapesse già che da quel momento nulla
sarebbe stato come prima.
Vivian l’esitazione però la implico’ lucidamente alla mente stanca di chi passa
le notti in bianco quindi, senza soffermarsi ancora, aprì.
A fissarla con due grandi occhi neri, dal basso del suo metro e tre spanne, una
donna con i capelli scuri duri come corde, un abito rosso ed una grande borsa
intrecciata. Un cappotto a scacchi sotto il braccio ed un grande sorriso.
Vivian sgrano’ gli occhi e senza neanche salutare disse, con tono elegante ma
fermo:
“un attimo e sono subito da lei”.
Poi immaginate il suono dei piedi nudi e spediti sopra un costoso parquet.
Vivian entro in camera e con la stessa voce di prima ma leggermente più
indispettita, e disse al marito che dormiva con la testa riversa fuori dal letto:
– ” Tommaso che idea hai avuto stavolta? Chi è la donna fuori dalla porta di
casa nostra?”
Lui apri gli occhi appena e replicò :
-“… la nuova assistente domestica. Guadagno talmente tanto amore mio, che
mi sembra il minimo, così tu non rischi di stancarti… ”
Vivian a braccia conserte, come una statua, lo fissava mentre aveva intuito
perfettamente il tono sarcastico del marito.
Tommaso aggiunse:
-” E’ pure esotica, mi sembra messicana, è qui da diversi anni e parla bene la
nostra lingua. Dai Viv , ormai ce l’anno tutti quelli che fanno la nostra vita su,
lasciami dormire.”
Vivian scosse la testa, tornò alla porta e trovo quella donna ancora alla porta.
-” Entri pure e mi scusi, io sono Vivian”
-” Si lo so, io invece sono Beatriz”
E le strinse la mano con una forza calda e gentile, e la guardo negli occhi
mentre sorrideva con due file di denti bianchissimi.
Queste due cose insieme, lo sguardo puntato ed il sorriso aperto e sincero, la
stordirono profondamente.
Vivian pensò che era tutta colpa dell’insonnia, e fece strada a Beatriz.
Da questo giorno possiamo affernare che niente è sttao più come prima.
Da quel giorno qualcosa dentro la nostra Vivian aveva iniziato a cambiare.
ATTO 5
La vita continuava apparentemente uguale.
Tommaso continuava con quella violenza sorda e sottile fatta di battute
denigratorie, con quella violenza fatta di mancanza.
Mancanza di abbracci, di carezze, di conforto.
Mancanza d’amore ma mai della mancanza dei venerdì, in cui Vivian recitava
la parte della moglie consenziente.
Aveva provato un paio di volte a dissentire ma aveva impiegato troppo tempo
il giorno successivo a coprire i lividi, ed aveva più paura delle domande altrui
che di quei venti minuti di vuoto sterile mal riempito dal marito Tommaso.
Ma qualcosa non era più la stessa.
Era quella donna.
Era Beatriz.
Beatriz nel primo periodo della relazione con Vivian si limitò alle circostanze.
(si, avete letto bene, “Relazione”)
Si limitò ad una tazza di the servito nel terrazzo coperto oppure nel piegare
gli asciugamani e farli trovare caldi sulla poltroncina della stanza quando
Vivian usciva dai suoi interminabili bagni.
A preparare torte di mele quando Vivian decideva di saltare la cena, così da
convincerla almeno a provarne una fetta.
Ed una volta, dopo l’ennesimo litigio con il marito si limitò a stringerle la
mano. La sua, quella di Vivian fredda affusolata e debole, quella di Beatriz
invece era piccola e calda. Le sussurrò :
-” Vivian, vedrà… Passerà. Deve solo essere forte. Lei non ha bisogno di tutto
questo”.
ATTO 6
Siamo quasi alla fine di questo piccolo racconto.
Quasi alla fine delle parole che Vivian mi regalò una notte d’ottobre nel
vicolo buio sotto casa mia dentro una lavanderia a gettoni.
Stava ormai finendo Settembre, ed il compleanno della nostra
protagonista era dietro l’angolo.
L’ennesima festa dove avrebbe dovuto recitare la parte della stupita,
commossa e grata moglie.
28 anni quelli di Vivian, principalmente passati a compiacere.
Prima le aspettative della sua famiglia, poi quelle del marito e dei
presunti amici.
Ma lei?
Una mattina si svegliò più tardi del solito, scalza come faceva sempre si
diresse in cucina passando per il lungo corridoio che dalle camere
portava all’ampio salone.
Una voce sussurrava dallo studio del marito.
Tommaso, al telefono.
Una voce suadente, la stessa che aveva avuto con lei anni fa.
Vivian senti nitidamente qualche frase, ma una più di tutte la feri’:
-“dai lo sai, mia moglie si imbottisce di tranquillanti e passa metà delle
sue giornate imbambolata alla finestra… Sabato non se ne accorgerà
nemmeno.. Vieni ho voglia di rivederti. Ho voglia di te”
Che Tommaso avesse avuto un giro di donne disponibili e presenti, io lo
pensai subito, fin dalle prime cose che mi raccontò Vivian di lui.
E lo sapeva anche la nostra protagonista.
Non fu quindi il prenderne atto a farle male. Furono le parole. Fu sentir
trattare così il suo dolore.
“imbambolata”, “non se ne accorgerà nemmeno”.
Trattata al pari di un uovo Faberge’. Trattata come un soprammobile
bello, costoso ed inutile. Trattata come un oggetto. Schernita. Presa in
giro con un donna che neanche conosceva dall’altra parte del telefono.
Rimase in piedi dietro la porta ed una lacrima rapida e veloce, di quelle
senza preavviso, le taglio la guancia.
Gli occhi fissi e lucidi, le unghie conficcate nel pugno con la stessa
violenza con cui avrebbe voluto gridare.
A pochi metri da lei, ferma con la biancheria pulita tra le braccia, Beatriz.
Immobile con gli occhi pieni d’affetto che accarezzavano Vivian.
Atto 7
Era arrivato, volando attraverso i dolori e le mancanze, i party, il lusso e le telefonate sottovoce di
Tommaso, il suo compleanno.
Vivian aveva incominciato la sua piccola ed inconsapevole rivoluzione scegliendo lei stessa l’abito da
indossare.
Non il vestito lungo color avorio scelto da Tommaso, ma un abitino comprato da sola in una piccola
boutique del centro.
Un abito più adatto ad una serata a base di discomusic ed amiche che non ad una festa ingessata a base
di Martini Cocktail, droga ben celata e sorrisi esibiti.
Tommaso la vide camminare con passo spedito verso il corridoio.
Le disse con tono secco: “Cosa ti sei messa?”
Lei: “ L’ho preso in centro, mi piaceva. E’ di una nuova piccola Maison..”
Lui scosse la testa ed aggiunse : “ E’ volgare…”
Nello stesso momento, Beatriz vestita di tutto punto da colf come esigeva il suo ruolo, disse:
“Vivian, è bellissima stasera, sembra una rockstar”
Vivian sorrise ed arrossì.
– Forse è vero che gli occhi con cui guardiamo le cose fanno tutta la differenza –
Continuò ad attraversare il corridoio e dopo un breve sguardo alla miseria umana presente, si chiuse in
bagno. Guardandosi allo specchio non vide nulla, o meglio, nulla di buono.
I suoi occhi troppo stanchi e la bocca rigida, quasi a trattenere parole impronunciabili.
Una vita scandita dall’apparenza, dove l’unica luce era stata una donna venuta da lontano che l’aveva
trattata come nessuno fino ad allora.
Ed un marito.
Inadatto al suo ruolo e all’amore di cui rifiutava la sostanza, portando avanti solo le convenzioni.
Non aveva amici ma aveva ancora se stessa.
E aveva deciso.
Deciso che era da se che doveva salvarsi.
Deciso che se non lo avrebbe fatto lei, nessuno avrebbe potuto al suo posto.
Deciso che quella vita che aveva avuto quasi 30 anni fa senza chiederla, valeva di più dei calmanti di cui
abusava e degli abiti firmati che aveva tutti in fila nell’armadio.
– Infondo non scegliamo di nascere, ma possiamo scegliere come vivere –
( è banale ma spesso ce ne dimentichiamo)
E aveva deciso che, dopo una vita passata ad essere considerata poco dal resto del Mondo, quella
considerazione voleva prendersela tutta insieme.
Capito 8, La fine
CAPITOLO 1 / ATTO 8, l’ultimo.
Un ultimo sguardo allo specchio, sistemo` il rossetto e uscì dal bagno.
Uscì come se fosse l’ultima volta.
È lo era, accidenti se lo era.
Beatrix era immobile di fronte la cucina e Vivian si fermo di fronte a lei per l’ultimo saluto.
“Vivian, la tua valigia è pronta”
“Grazie. Bea io….. , io non ti scorderò mai, mai, mai….”
D’un tratto gli occhi le si riempirono di lacrime, si chinò verso di lei e la baciò in bocca di fronte a
tre quarti degli invitati.
Intendiamoci, quel bacio non fu un bacio qualunque.
Fu pieno d’amore, di gratitudine, di passione, di speranza e di amicizia.
Fu come dovrebbero essere i baci veri, fu pieno.
E pieno lo sconcerto di quelli che assistettero, ma Vivian ormai non era più interessata, non più.
Vivian era pronta.
Una falcata sicura verso la camera, giusto il tempo di afferrare la valigia.
Con la stessa falcata torno indietro verso l’uscio attraversando il salone in cui gli ospiti buttavano
giù Martini come fosse acqua tonica.
Visto che si chiamava Vivian, come Vivian Leight, utilizzo per una volta la teatralità del suo nome.
Nella pausa tra un brano e l’altro pronuncio una sola frase :
” Spero di non vedervi, mai più.”
Poi lancio un’occhiata a Tommaso, completamente alterato dal suo passatempo da ricco, e gli
disse:
” sai una cosa? Ho sempre detestato gli abiti che mi compravi ed alla fine, alla fine ho iniziato a
detestare anche te”
“Vivian cosa credi di fare, sei completamente pazz…” Troppo tardi, era andata.
La sera del suo 28 compleanno, questa algida ragazza dall’aria stanca era scappata.
Alla fine quel coraggio l’aveva trovato.
Alla fine lei stessa era diventata coraggio.
Giù per le scale, senti per la prima volta le gambe leggere.
Perché se è vero che lei non avevo chiesto di essere messa al mondo, poteva però scegliere
come starci in questo mondo.
Questo avrebbe fatto.
Vivere.
Lungo la strada c’era una lavanderia a gettoni.
Penso che lavare i suoi abiti da quegli odori, da quei ricordi fosse una buona idea.
Io invece ero lì per il solito bucato notturno in attesa del turno di lavoro.
La vidi entrare – sembra una Rockstar – pensai.
Il resto, lo sapete.
Fine.